Un film spietato, che non lascia un attimo di tregua dall'inizio alla fine e che mette a nudo le contraddizioni della società brasiliana (ma che potrebbe essere tranquillamente applicato anche in altri paesi, Italia inclusa) ove la società bene vuole essere protetta, vuole sentirsi la coscienza apposto, facendo opere di bene, e si strafa di roba.
Per poter operare nelle zone limite si accorda con la mala, gli spacciatori, e a loro volta alimentano il sistema comprando droga e strafacendosi di ogni forma di vizio.
I poliziotti, che devono affrontare con scarso addestramento e mezzi i potentati della droga, all'interno delle loro zone di controllo, sanno che avrebbero vita breve, quindi scelgono o di non vedere, per allungarsi la vita, o si alleano al sistema, allargando il cerchio della corruzione, o se vogliono fare il loro dovere fino in fondo devono scegliere la strada più difficile, quella della guerra.
E non sono parole retoriche. Nelle operazioni del BOPA non c'è spazio per il rimorso o per l'estazione. Si entra nelle Favelas per uccidere e non per rimanere uccisi, per ottenere risultati, e non per fermarsi di fronte ai diritti civili di persone che hanno scelto di stare dalla parte dell'illegalità (anche se a volte la scelta è necessaria, e dunque sa poco di scelta vera e propria).
Gli agenti che operano nel BOPE sono sulla linea di confine, in una vita sempre al limite, che non conosce stop, che non ha vacanze, neanche la vita privata ne è risparmiata.
Uomini al limite, che per evitare di venire a patti con il loro senso dell'onore e del dovere non hanno altra via che quella di farsi acciaio.
Un film da vedere, per spostare l'occhio oltre la stereotipata immagine di un Brasile che rimane legata a pallone, spiagge e costumi mozzafiato su corpi perfetti.
Certo, l'immagine che esce dal film è macchiata di una velata retorica di fondo, ma il film non ne risente.
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