giovedì, gennaio 17, 2008

Noi che facciamo le gare in mezzo al traffico - da Abitare www.corriere.it

Capita di navigare in giro per la rete, capita di trovare un brano che ci incuriosisce, capita a volte, che il brano descriva proprio quello che ci capita di provare quando, sulla bicicletta vai ogni giorno a lavoro. Così capita anche che ti va di postare quanto hai trovato altrove sul tuo blog... si sa mai che anche gli altri abbiano desiderio di capirti mentre sfrecci per le vie della città.

Noi che facciamo le gare in mezzo al traffico
Tiziano Scarpa racconta le sue città invivibili

Le piste ciclabili dovrebbero essere abolite. Berlino è uno scandalo, è piena di piste ciclabili. D’altronde è anche piena di parchi. Per forza: una volta i berlinesi non potevano uscire facilmente dalla loro città, erano circondati dai comunisti, così le vacanze se le facevano nel parco.Una mattina d’estate mettevano la tenda da campeggio nel bagagliaio dell’automobile, partivano per le ferie, il viaggio durava dieci minuti.Arrivati nel parco, in pieno centro cittadino, scendevano dalla macchina, montavano la tenda, stavano lì in campeggio due settimane, in mezzo agli alberi, a dieci minuti da casa. Ridicolo.

Una città deve contenere soltanto il lavoro, non c’è posto per le ferie.I parchi danno l’illusione che le città siano a misura d’uomo. Sbagliato. Le città non devono far finta di essere a misura d’uomo. Se una città è una città, non è a misura d’uomo, mai.

Le città devono far sentire l’uomo inadatto, fuori formato.L’essere umano è un intralcio urbano. In città deve arrancare, sempre. Se uno è un vero cittadino, deve arrancare.

Le città devono essere piene di divertimenti, cinema, teatri, mostre, bar, locali, perché queste cose sono come cocaina urbanistica, sono sostanze per sopportare la vita cittadina.Milano su questo non finge, a parte Parco Sempione.




Milano è piena di cinema teatri gallerie locali discoteche, è piena di farmaci per sopportare Milano.Milano ha pochissime piste ciclabili.È una città onesta, dice la verità su come stanno le cose.Le piste ciclabili sono una presa per il culo. Se una città è una città, non devono esserci zone protette, strade sicure, percorsi tutelati, zone pedonalizzate.Non c’è spazio per la passeggiata, non è prevista la meditazione. Milano non ha marciapiedi sgombri, in nessun posto della città potrai fare una passeggiata più lunga di cento metri.

Le città emiliane hanno i portici, le strade fanno un passo indietro per lasciarti passare, a Bologna i piani-terra delle case retrocedono, rientrano in sé stessi per cedere il passo ai pedoni. Sbagliato, sbagliato!Quelle non sono città. I ciclisti pretendono strade tutte per loro, protestano contro il traffico, fanno quelle penose biciclettate ogni settimana, il giovedì sera, a centinaia, partono da Piazza Duomo, tutti intruppati, in gruppo, a passo lento, per bloccare il traffico, costringono le automobili ad andare alla loro velocità da passeggio

Massa critica, la chiamano.
Se un automobilista si spazientisce e suona il clacson, loro scendono dal sellino e picchiano sul tettuccio, sul parabrezza, gli fanno le boccacce.

Noi no. Noi ci gettiamo nella mischia. Noi facciamo le gare in mezzo al traffico. Siamo parte del traffico. Lo peggioriamo. Lo esaltiamo. Passiamo col rosso.
Ci lanciamo a tutta velocità dentro la baraonda, perché non c’è altro che la baraonda, a questo mondo, non c’è altro mondo al di fuori della città. Il resto è idillio, favola, finzione. Il resto è una bugia per bambini, per adulti spaventati.
Noi non facciamo finta che esista qualcosa oltre i margini del caos, il caos è tutto e i confini del mondo coincidono con i confini del caos. Noi non pretendiamo nessun privilegio, non ci raccontiamo la fiaba di una città vivibile, una pista ciclabile, un sentiero percorribile, un’aria respirabile, una vita contrattabile.

Noi siamo sempre in tensione. La nostra pedivella è fissa, agganciata alla catena, gira sempre, le nostre gambe mulinano senza fermarsi mai, perché non accettiamo il riposo, la stasi. Noi non ci lasciamo andare. Gli altri ciclisti smettono di pedalare e si lasciano scorrere sull’abbrivio, seduti sulle loro bici come su comodi sgabelli a ruote. Rimangono immobili, in sella alla bicicletta che continua ad andare avanti, sfruttando l’inerzia del moto.


Pensano ai fatti loro, si deliziano, si incantano. Si lasciano portare dalla bici come da un attrezzo porta-pensieri, un passeggino scorrazza-testa. Portano in giro pensieri di paesaggio, si guardano intorno, sorridono, fanno fare una passeggiata al paesaggio stesso, inscatolato dentro la loro visione, come dentro il cestello portabagagli. La loro testa fra le nuvole fende l’atmosfera. Ma non c’è atmosfera, da nessuna parte, qui in basso, a quota zero di altitudine. Ci sono i gas, le polveri sottili, l’ossido di carbonio, e una testa fra le polveri sottili ha tutt’altri pensieri di una testa fra le nuvole.

Noi facciamo le gare in bicicletta nel cuore della città, in mezzo alle automobili, nei passaggi pedonali, ma anche in viale Papiniano quando c’è il mercato, sotto la Galleria Vittorio Emanuele, sul pavimento tirato a lucido. Ci diamo appuntamento e via. Nessuna regola. Ci agganciamo agli autobus, acceleriamo approfittando di un’auto in corsa, ci prendiamo la precedenza agli incroci a nostro rischio e pericolo. Noi ci mettiamo a repentaglio. Noi non ci facciamo tutte quelle illusioni ecologiste.

La bici fa parte della città, non è meno città di tutto il resto, fa parte del caos.
In apparenza è un mezzo da sfigati, il più fragile e inerme. Perciò è più eroica di una moto o di un automobile. Noi sfidiamo le lamiere e i motori con i nostri muscoli e i nostri gracili telai, i muscoli intelaiati alle bici, le bici intelaiate ai muscoli gonfi di sangue ossidato. Noi siamo la competizione invisibile, onnipresente, noi siamo la città in gara, lanciamo la sfida senza vestirci da corridori, senza indossare la maglietta di nessuna squadra, senza appiccicarsi addosso nessun numero.

La gara è in corso e nessuno lo sa, nessuno la vede, perché tutto intorno a noi è gara, la guerra è stata dichiarata in silenzio, tutti contro tutti, i gladiatori fanno finta di niente, guerrieri in giacca e cravatta escono da una banca per mandare in rovina una ditta, cartelli pubblicitari cannoneggiano iperboli, ragazze si contendono gli sguardi svettando sui tacchi, si fanno lo sgambetto, si falciano, le vetrine si accecano a vicenda da una parte all’altra della strada, tutto intorno a noi è battaglia, tutto è agone e agonia, tutto intorno a noi è città.

TIZIANO SCARPA

(Italia, 1963). È un commediografo, poeta e scrittore che vive a Milano.
Ha pubblicato i romanzi “Occhi sulla graticola” (1996), “Kamikaze d’occidente” (2003), le raccolte di racconti “Amore(r)” (1998), “Cosa voglio da te” (2003) e “Amami”, (2007), dove sessanta microstorie accompagnano sessanta immagini di Massimo Giacon. Il suo sfaccettato talento l’ha portato a sperimentare forme diverse come nella raccolta di aforismi intitolata “Corpo” (2004) o nei pezzi per il teatro riuniti in “Comuni mortali” (2007). (Italy, 1963).
Noi che facciamo le gare in mezzo al traffico - Abitare

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