Venrdì sera, casa T., si fa il sito Internet di un'associazione in ricordo di un ragazzo giornalista ucciso da un pirata della strada ed al cui nome è stata intitolata una borsa di studio presso una scuola di giornalismo. Io curo il sito, repsonsabilità notevole, anche perchè intorno al giovane M. circola un affetto ed una dedizione che raramente ho incontrato altrove, quasi fosse della vecchia guardia per intendersi...
Cmq a parte la serie di chiacchere iniziali e finali, la serata è passata in allegria.
Segnalo l'evento non tanto per la comune esperienza di una serata in società, ma per un evento che mi ha fatto riflettere.
Scopo della serata doveva essere la realizzazione dei testi aggiuntivi e di una registrazione per il sito. La registrazione deve essere eseguita da Guido R., un giovane attore (promettente? o affermato? boh, io nel campo dello spettacolo non sono per niente ferrato) dalla parlata accattivante, dal senso dell'umorismo molto elitario, ma nel complesso simpatico e, a modo suo, carismatico. Cmq siccome è un attore, viene coinvolto, peraltro a sorpresa, nella lettura di una poesia di M., L'era del Silenzio, che nasce in realtà come testo di una canzone.
Il prode Guido si è lanciato nel cimento con cuore ad animo, peraltro ostacolato nella realizzazione di un buon prodotto dalla scarzezza dei mezzi a nostra disposizione per la registrazione. Fatto sta che abbiamo ripetuto la poesia qualcosa come 12 volte prima di arrivare ad un risultato accettabile.
Sul momento mi ero indispettito, piccole imperfezioni non possono rovinare un tutto, poi, però con lo scorrere del tempo ho compreso che lui ci stava giocando la sua professionalità, e lo stava facendo al soldo dell'amicizia vs un ragazzo che non c'era più. Ecco... l'ho deriso in un primo tempo per la perfezione che cercava, ora la comprendo e la rispetto, fosse stata anche dettata dalla volontà di non sbagliare legata all'ego di attore, la volontà di eccellere e cercare la perfezione non deve essere mai dileggiata... in fondo è la molla che ci spinge ad essere migliori, che ci spinge alle eccelse vette e che ci insegna il rispetto di noi stessi e del nostro lavoro.
Mi è tornato alla mente il monito che mio padre mi ha riferito sul fare un lavoro.
"Lavora come gli operai delle cattedrali del medioevo". Perchè? Perchè essi lavoravano inseguendo la perfezione anche quando non visti, perchè sapevano che quand'anche erano da soli, qualcuno che li guardava c'era sempre: il buon Dio.
E allora la loro opera diveniva preghiera, offerta, sacrificio. E la perfezione era il solo risultato accettabile.
Meditate gente, meditate.
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